Storia del "Braschi" - Braschi-Quarenghi

Cerca
Vai ai contenuti

Menu principale:

Storia del "Braschi"

L'Istituto > Storia dell'istituto > Liceo "Giovannangelo Braschi"




Papa Pio VI.


GIOVANNANGELO BRASCHI


Giovannangelo Braschi (Cesena 1717- Valence 1799), eletto al soglio pontificio col nome di Pio VI il 15 febbraio 1775, fu Abate commendatario di Subiaco.
Alla sua liberalità si deve la realizzazione della Chiesa di S. Andrea. A ricordo della sua visita a Subiaco per la consacrazione di questa Chiesa, i cittadini di Subiaco eressero l'Arco trionfale alle porte della città.
Giovanni Braschi nacque a Cesena il 27 dicembre 1717 dal conte Marco Aurelio Tommaso Braschi e da Anna Teresa Bandi. Dopo aver conseguito il dottorato in legge si trasferì a Ferrara, dove divenne segretario personale del cardinale Ruffo, nei cui vescovati di Ostia e Velletri ricoprì la carica di uditore fino al 1753.
La sua perizia nel condurre un'importante missione alla corte di Napoli gli guadagnò la stima di Benedetto XIV, che lo nominò suo segretario e canonico di San Pietro. Nel 1758 Clemente XIII lo nominò prelato e nel 1766 tesoriere della Camera apostolica. Molti si sentirono danneggiati dalle avvedute economie da lui realizzate, tanto da indurre Clemente XIV a promuoverlo cardinale del titolo di Sant'Onofrio il 26 aprile 1773, riuscendo a renderlo temporaneamente inoffensivo.

Il conclave
Nel conclave di ben quattro mesi che seguì alla morte di Clemente XIV, Spagna, Francia e Portogallo tolsero una dopo l’altra il proprio veto all'elezione del Braschi, che, pur essendo amico dei Gesuiti, aveva preso le distanze da tutte le controversie politico-religiose.
La sede vacante fu così finalmente occupata il 1º febbraio 1775.
I suoi primi provvedimenti fecero ben sperare in un governo liberale capace di riformare la carente amministrazione dello Stato della Chiesa. Dimostrò subito notevole acume nel modo di avvalersi dei propri collaboratori. Censurò il governatore di Roma per non essere riuscito a reprimere i moti popolari che avevano funestato i 4 mesi di vacanza della sede papale, nominò un consiglio cardinalizio per porre rimedio allo stato delle finanze e ridurre il peso dell'imposizione fiscale, incaricò Nicolò Bischi di soprintendere alle spese necessarie all'acquisto di grano, ridusse le uscite annuali sopprimendo l'erogazione di molte pensioni vitalizie e adottò il metodo degli incentivi per incoraggiare lo sviluppo dell'agricoltura.

Le controversie sulla Compagnia di Gesù

Le circostanze con cui era stato eletto tuttavia furono per lui causa di difficoltà fin dall'inizio del pontificato. Egli infatti aveva ricevuto l'appoggio dei ministri della Corona e del partito anti-Gesuiti con il tacito accordo che avrebbe proseguito l'azione del predecessore Clemente XIV il cui editto Dominus ac Redemptor del 1773 aveva decretato lo scioglimento della Compagnia di Gesù.
I rappresentanti dell'ala più conservatrice, che lo ritenevano invece favorevole ai Gesuiti, si aspettavano da lui misure in riparazione dei presunti torti ricevuti nel corso del precedente pontificato. Il risultato di queste complicazioni fu una serie di mezze misure che finirono per scontentare entrambi gli schieramenti, e questo nonostante fosse proprio per merito di Pio VI che l'ordine riuscì ad evitare il disastro nella Russia Bianca e inSlesia. Ad un certo punto sembrò addirittura che egli pensasse seriamente di ripristinarlo in tutto il mondo, in funzione di baluardo contro le idee rivoluzionarie che si stavano diffondendo.


Francesco Guardi. Pio VI visitato dal Dogedi Venezia.

La Chiesa alle soglie della rivoluzione era vittima di un ostile isolamento promosso dai sovrani europei allo scopo di limitarne le prerogative. Per la verità Febronio, il principale esponente tedesco delle vecchie tesi gallicane fu costretto, non senza provocare scandalo, a ritrattare, tuttavia le sue posizioni furono fatte proprie dall'Impero austriaco. In questo paese le riforme in campo sociale e religioso intraprese da Giuseppe II e dal ministro Kaunitzmettevano in discussione la supremazia di Roma. La risposta di Pio VI fu diplomatica: il Papa prese la straordinaria decisione di visitare personalmente Vienna. Egli partì da Roma il 27 febbraio 1782 ma, sebbene fosse ricevuto con tutti gli onori dall'imperatore, alla fine la sua missione si risolse in un nulla di fatto. Nonostante ciò, qualche anno più tardi, al congresso di Ems riuscì ad arginare il desiderio di autonomia espresso da alcuni arcivescovi tedeschi.
A Napoli il ministro Bernardo Tanucci, noto massone, sollevò delle obiezioni riguardanti i diritti feudali. All’epoca Napoli era il centro diffusore della massoneria in Italia. Il Papa, temendo il peggio, concluse un trattato difensivo con re Ferdinando IV. A Firenze sorsero problemi con il granduca Pietro Lepoldo e con Scipione de' Ricci, vescovo di Pistoia e Prato, filo francese, sulla questione della riforma in Toscana. Pio VI in entrambi i casi mostrò prudenza. Infine, Pio VI aspettò che passassero 8 anni prima di condannare le deliberazioni uscite dal Sinodo di Pistoia del 1786.

Lo scontro con la rivoluzione francese

Allo scoppio della Rivoluzione francese, Pio VI fu costretto a subire la soppressione dell'antico rito gallicano, la confisca di tutti i possedimenti ecclesiastici in Francia e l'onta di vedere il proprio stesso ritratto dato alle fiamme dalla folla nel Palazzo Reale.
Pio VI cercò di prendere di petto la questione: il 10 marzo 1791 condannò con il breve Quod aliquantum laCostituzione civile del clero, approvata dall'Assemblea nazionale francese nel luglio del 1790. Ma i rivoluzionari, per rappresaglia, invasero Avignone, qui, nell'ambito della lotte fra chi sosteneva l'annessione alla Francia e i sudditi fedeli al pontefice, una sessantina di questi ultimi furono condannati sommariamente a morte e barbaramente uccisi in una delle torri del palazzo dei Papi. Tale tragico evento è ricordato come i Massacres de la Glacière, ossia i massacri della ghiacciaia .
Pio VI condannò anche la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, provocando in Francia una spaccatura. Anche il clero si divise, fra sacerdoti costituzionalisti, capeggiati dal famoso abbé Grégoire) e fedeli al Papa (i cosiddetti “preti refrattari”). L'assassinio del rappresentante repubblicano francese Ugo di Bassevilleavvenuto nelle strade di Roma nel gennaio 1793 peggiorò ulteriormente la situazione: la corte papale fu accusata di complicità dalla Convenzione Nazionale.
Nel 1796 Napoleone invase l'Italia e puntò le armi contro lo Stato Pontificio, costringendo il papa all’umiliante armistizio di Bologna: Pio VI dovette cedere Bologna, Ferrara e Ancona, versare 21 milioni di scudi e consegnare numerose opere d’arte. Quando poi il Papa si legò con l'Austria, che stava formando una coalizione contro la Francia, Napoleone riuscì a portare dalla propria parte Ferdinando I di Napoli che, con un atto arbitrario, ordinò a Tanucci di invadere i feudi papali nel suo territorio. L'esercito pontificio fu sconfitto (10 febbraio 1797) e il 18 febbraio i francesi saccheggiavano il Santuario di Loreto. Il Pontefice fu perciò costretto a siglare il Trattato di Tolentino (febbraio 1797), che allo Stato Pontificio costò altri 25 milioni di scudi e numerosi oggetti d’arte.



La situazione, già di per sé grave, subì un ulteriore peggioramento il 28 dicembre dello stesso anno, quando, nel corso di un tumulto provocato da alcuni rivoluzionari italiani e francesi, il generale Duphot fu ucciso, e ciò fornì il pretesto per la cosiddetta Occupazione francese di Roma. Il generale Berthier marciò sulla città, occupandola senza incontrare resistenza e dandosi poi al saccheggio dei tesori d’arte del Vaticano. Il 15 febbraio 1798, deposto il Papa come principe temporale, vi proclamò la repubblica.
Pio VI fu fatto subito prigioniero e, il 20 febbraio venne scortato dal Vaticano a Siena, dove rimase tre mesi, e quindi alla Certosa di Firenze, dove fu segregato nel convento. Nel marzo del 1799 venne deciso di trasferirlo nuovamente, in seguito alla dichiarazione di guerra della Francia contro la Toscana.
Si decise di portarlo a Bologna, credendola città anticlericale. Ma, quando i francesi lo esposero al popolo, Pio VI, invece di essere ingiuriato, venne acclamato. Fu allora decretata la sua carcerazione in Francia. Il Papa, ottantaduenne, venne internato prima a Grenoble, poi il 19 luglio fu rinchiuso nella fortezza di Valence, capoluogo della Drôme. Logorato dai patimenti fisici e morali Pio VI si spense in prigione il 29 agosto dello stesso anno.

L'amministrazione dello stato pontificio



Il nome di Pio VI è legato ai molti, e spesso impopolari, tentativi di far rivivere i fasti e lo splendore del regno di Leone X nell'opera di promozione delle arti e delle opere pubbliche. L’Anno Santo 1775 ebbe un carattere festaiolo, distaccandosi molto dal tradizionale clima penitenziale: dalle luminarie artificiali accese sul Campidoglio alle feste tradizionali, inclusa la caratteristica corsa di cavalli lungo il Corso (oggi via del Corso).
Per abbellire Roma Pio VI mise a disposizione delle ingenti somme di denaro. Fece costruire la sacrestia di San Pietro ed erigere gli obelischi che si trovano davanti al palazzo del Quirinale, davanti a Trinità de’ Monti e in piazza Montecitorio. Nel Museo Pio-Clementino completò l’esposizione di celebri capolavori antichi.
Il papato di Pio VI non fu immune da episodi di nepotismo. Quando il suo nipote Luigi Braschi Onesti si sposò con la ricchissima Falconieri, il Papa gli fece costruire e poi gli regalò un intero palazzo tra Piazza Navona e Corso Vittorio Emanuele II, oggi noto come Palazzo Braschi, opera dell’architetto imolese Cosimo Morelli, attualmente sede del Museo di Roma. Inoltre tra il 1787 ed il 1795 il nipote del Papa fece costruire a Terracina un maestoso edificio in stile neoclassico, anch'esso noto come Palazzo Braschi, come residenza privata di papa Pio VI.
Un ricordo più positivo di Pio VI viene dall'inaugurazione dei Musei Vaticani, opera iniziata dal suo predecessore, e dal tentativo, problematico quanto costoso, di bonificare le paludi dell’Agro Pontino.[1] A testimonianza di questa opera, il canale che scorre parallelo alla via Appia e che sfocia nel porto di Terracina porta ancora oggi il nome di "Lungo Linea Pio VI".


 
Torna ai contenuti | Torna al menu